FAI BEI SOGNI
È questo il mondo che sognavamo da bambinə?
Fai Bei Sogni, è l’opera collettiva ideata da Silvia Clo Di Gregorio con il coinvolgimento di altre 13 artistə sul tema della resistenza alla violenza che sarà performata in occasione del Diversity Awards in data 28 maggio al Teatro Lirico Giorgio Gaber, a Milano.
L’unione tra abito e linguaggio artistico diventa il mezzo per discutere di resistenza e trasformazione sociale. Un'occasione per riflettere, confrontarsi e trovare nuove modalità per agire di fronte alle ingiustizie che ci circondano.
L’opera parte della riflessione sul significato e la forza dei sogni intesi come forme di speranza e aspettative di un tempo felice. Ma quei sogni di bambinə sono andati in frantumi e il mondo che stiamo vivendo non è quello che sognavamo.
In questo controverso contesto non possiamo fare a meno di chiederci ma chi è bambinə oggi, ha ancora sogni, o solo incubi violenti?
Oggi, più che mai, ci troviamo di fronte a una realtà complessa e travolgente.
Dalla nostra posizione privilegiata nel mondo Occidentale, assistiamo agli eventi globali attraverso una serie di schermi deumanizzanti, cercando di fare il possibile, ma spesso sembra non sia abbastanza.
In risposta alla sensazione di impotenza collettiva e individuale, Silvia Clo ha convocato 13 artistə per esprimere, attraverso l’illustrazione e il linguaggio dell’arte, cosa significhi per loro resistere contro le forme di oppressione e violenza che ci circondano quotidianamente.
L’opera collettiva è un grido di denuncia contro le ingiustizie del nostro tempo che ogni giorno ci investono, ci coinvolgono e spesso ci fanno sentire complici: dal genocidio in Palestina alla censura dei corpi femminili in Iran, dalla prigionia di Ilaria Salis in Ungheria fino alle violenze inflitte nel nostro stesso paese contro donne, persone non conformi, disabili e razzializzate.
La violenza, in tutte le sue forme, è il filo conduttore che unisce queste storie. La resistenza alla violenza patriarcale e distruttiva è il tema generale, la risposta, ciò che possiamo unicamente immaginare (forse sognare), attraverso l'arte e l'informazione.
Fai Bei Sogni si compone di un vestiario intimo e di connotazione tipicamente femminile, una camicia da notte bianca come una tela su cui sono esposti i lavori della sarta Alessia Fregonese e delle illustratrici: Pamcoc, Alpraz, Giuseppe La selva, Manuela Mapelli, Vanessa Apotropaike, Elena Beatrice, Susanna Morari, MG Posani, Giuditta Furlan, Veronica Cerri, Andrea Lodetti, Giulia Rosa. La performance è organizzata in collaborazione con la curatrice Micaela Flenda e la fotografa Lisa Carletta.
Silvia Clo dichiara: “Il mio corpo non è invisibile, so che è visto, è un corpo conforme, magro e bianco e viene assunto come corpo femminile, nonostante lo viva in modo non binario. Il mio corpo visibile diviene tela dove varie soggettività politiche, queer convogliono insieme in questo atto di visibilità artistica politica dal titolo Fai bei sogni. Vorrei che venisse vista l'opera collettiva come veicolo di messaggi su un palco mondano, ma anche nei media, che spesso celebrano le diversità edulcorate, senza parlare di lotta di classe, di privilegi, di intersezionalità. L’opera è acquistabile, voglio donare infatti l’intero valore all’associazione UNRWA“
Testo critico di Micaela Flenda
Mi sono svegliata di soprassalto. Un colpo tremendo ha interrotto il mio sonno, non è la prima volta. Sin da bambina ho sempre avuto una vita onirica piuttosto attiva, fatta soprattutto di incubi. I mostri accompagnano la mia fantasia e la alimentano con ironia e oscurità insieme. Gli incubi della notte sono a volte così realistici da sembrare semplicemente vite alternative, attimi vissuti da qualcun’altrə. Il risveglio è sempre pieno di angoscia, ma si tratta di un’angoscia che non mi appartiene direttamente, è come se fossi solo il contenitore di quella paura ancestrale che mi brucia dentro per qualcun’altrə. Ma chi è? Dov’è? Forse stiamo condividendo un luogo inconscio dove mi chiama e mi chiede di esserci? Mi chiede forse di agire perché lì dove si trova non può farlo da solə? Sogni, incubi, incubi, sogni, fantasia, speranze, paure, desideri infranti. Si intrecciano, si scambiano, sembra quasi una lotta continua tra ciò che è realtà e ciò che non lo è del tutto.
Va bene, mi alzo, ormai la schiena è troppo sudata per potersi riaddormentare. Tanto vale riguardare questi incubi da sveglia. Forse ho sognato coloro che la notte non possono dormire. Sapete, anche dormire è un privilegio non da poco di questi tempi. Sentirsi al sicuro di notte, nel proprio letto, sapendo che nessuno bombarderà casa mia, nessuno verrà a prelevarmi di peso perché ho condiviso una mia opinione politica o perché il mio permesso di soggiorno è scaduto, nessuno mi prenderà e lancerà su un gommone per attraversare un mare che potrebbe uccidermi dopo aver perso già tutto, nessuno darà fuoco a casa mia perché ho camminato per strada mano nella mano allə miə compagnə, nessuno cercherà di soffocarmi perché ho provato a lasciarlo e nessuno entrerà senza preavviso per spararmi per via del colore della mia pelle, nessuno mi strapperà dal mio letto, ucciderà la mia famiglia, occuperà la mia casa e la mia terra per colonizzarle.
Ideazione e corpo di Silvia Clo Di Gregorio
Fotografia e creatività Lisa Carletta
MUA & Hair Elisabetta Panziroli
Art direction Micaela Flenda
Handmade backdrop Frogslab - Alessia Fregonese
Attrezzatura di Fioriartificiali, Kumamilano e Nic Salvatori
Assistente di produzione Emanuele Raschitelli
Vestito ricamato e lavorato da Alessia Fregonese di Frogslab, con le illustrazioni di Pamcoc, Alpraz, Giuseppe La selva, Manuela Mapelli, Vanessa @Apotropaike, Elena Beatrice, Susanna Morari, MG Posani, Giuditta Furlan, Veronica Cerri, Andrea Lodetti, Giulia Rosa.
Grazie a Samuele Galli, Lino e Mara Palena di Fioriartificiali, Taddeo e L’orto del villano e Luca Taccardi
In casa c’è silenzio, è ancora troppo presto per sentire che la città si sta svegliando. Vedo i gelsomini sul balcone che stanno sbocciando giorno dopo giorno, apro la finestra e il profumo entra in casa mentre la moka sta facendo il caffè. Silenzio, gelsomini e caffè, un altro privilegio non da poco.
È arrivato il momento, apro Instagram. Controllo tra i dm se H. ha risposto al mio messaggio, non ha risposto ma ha visualizzato. Ottimo, significa che è ancora vivə, questo è ciò che conta. Ha pubblicato una storia meno di un’ora fa. Ottimo, significa che è ancora vivə, questo è ciò che conta.
C’è stato un attacco vicino a casa sua, aspetta che scrivo subito per sapere se è tutto ok (ma può mai essere tutto ok? No, vi dico subito che non può), condivido la notizia tra le mie storie, ovviamente sono in shadow ban. Chissene frega, io continuo a condividere anche fosse per 50 persone che guardano. H. mi risponde, sta bene ma sta cercando di richiedere asilo politico in Europa. I documenti non sembrano mai abbastanza. I documenti sembra che abbiano sempre un errore all’interno. È un incubo vivere ogni giorno in questa precarietà.
Sono una millennial, sono bianca, sono europea.
Sono stata cresciuta in una cultura che aveva venduto il Sogno del “si può fare tutto se lo vuoi per davvero”. Che bugia immensa, non credete? Dicevano che avremmo vissuto il momento migliore della storia. Dicevano che avremmo avverato tutti i nostri sogni. Ho scoperto dopo che esistevano sogni che valevano più di altri. Ma soprattutto che esistono persone che possono sognare e altre meno.
Sognare, sognare, sognare. Immaginare esistenze alternative, creare mondi altri, sperare in possibilità ancora non realizzate. Perché sapete, sognare significa anche costruire il proprio posto nel mondo, significa credere che sia possibile realizzare le proprie aspettative in una progettualità, individuale e collettiva, significa vedere oltre i confini del presente e di immaginare un rifugio e uno spazio di rigenerazione diverso, giusto, inclusivo, concretamente possibile.
Ursula K. Le Guin, nel suo discorso "The Carrier Bag Theory of Fiction", ha esplorato come le storie e i sogni possano essere strumenti di sopravvivenza e resistenza. In quell’occasione, la scrittrice americana ha descritto i sogni come "sacche di possibilità", contenitori di narrazioni che sfidano le convenzioni e offrono nuove prospettive, spirituali, sociali, politiche. Nei suoi romanzi, i sogni diventano mezzi attraverso cui i personaggi possono esplorare e contestare le realtà oppressive. Utopie e distopie non così lontane dalla contemporaneità. Le Guin ci ricorda che immaginare nuovi mondi è il primo passo per crearli, e che il potere di sognare è intrinsecamente rivoluzionario. “It is a strange realism, but it is a strange reality”.
Ve lo voglio dire, Sognare non è un atto di fuga dalla realtà, ma un atto profondamente politico. I sogni non possono più essere un privilegio, non possono essere ad esclusione dei più. Il loro potere è troppo trasformativo e curativo per non poterlo utilizzare come atto di rivoluzione collettiva. In un mondo dominato da discriminazioni e violenze sistemiche, sognare è l'atto di resistenza di cui abbiamo bisogno, lo strumento fantastico per mantenere viva la speranza e continuare a lottare per un cambiamento reale.
In un'epoca in cui l'immaginazione è spesso limitata dalle strutture oppressive della nostra società, i sogni agiscono molto più che semplici immagini notturne; sono visioni che alimentano il nostro spirito di radicale libertà e speranza.
Chiedo aiuto alla meravigliosa Alice Walker che con le sue parole richiama alla responsabilità, di ognunə di noi, di fronte all’incessante perpetuarsi di ingiustizie e soprusi che abbiamo di fronte agli occhi, ogni giorno, ogni ora. In una società in cui il concetto stesso di umanità è sempre più sacrificabile, come possiamo proteggere i sogni di bambinə? Come possiamo trovare luce in questo terribile momento di oscurità? Walker sembra quasi un oracolo: “We are the ones we have been waiting for”.
Chiudo gli occhi e poi li riapro: la furia dell’oppressore non si placa. Un nuovo attacco. Atroce. Feroce. Un massacro di innocenti che cancella il senso stesso della parola uma- nità. Una notte segnata da fuoco e morte.
Controllo ancora Instagram, vedo che gruppi di persone marciano, chiedono giustizia, occupano spazi, università, strade. Che il sogno possa diventare realtà? Intanto li raggiungo. Scrivo ad H. per mandare la foto della sua bandiera nelle strade della mia città. Sogniamo insieme anche se siamo lontan*.
Mando un vocale: forse il modo in cui scegliamo di immaginare il mondo può creare il mondo di cui abbiamo bisogno. Free Palestine my dear friend.
E allora voglio sognare, voglio condividere, voglio crescere, voglio continuare a lottare, voglio essere presente. Voglio assumermi la responsabilità di tutto questo. Secondo me lo volete anche voi. Vi lascio con le parole di Walker. Quelle che hanno curato la mia luce quando più mi sono sentita al buio.
When we face the peoples of the world with open hands, and in honesty and fearlessness speak what is in our memories and our hearts, the dots connect themselves.
You may say to me: But Alice, all these connecting dots connect disasters. True enough, but they also connect millions of people who worked hard and beautifully to prevent, defeat, or transform them.
The best of times. — Alice Walker
Le Guin, Ursula K. The carrier bag theory of fiction. The Anarchist Library Anti-Copyright, 1986.
Walker, Alice. We are the ones we have been waiting for: Inner light in a time of darkness. The New Press, 2021.